domenica, novembre 07, 2010

"Per aspiranti scrittori": D. Tonani

Iniziamo oggi una rubrica periodica di consigli per aspiranti scrittori, raccolti sotto forma di brevi interviste a professionisti del settore. Dario Tonani, già padrino dell'edizione 2010 del nostro Premio Letterario, ha simpaticamente accettato di fare da cavia per testare questo nuovo format. Sentiti ringraziamenti! Ma passiamo senz'altro indugio all'intervista.

GdD: Sono vari i concorsi, promossi da enti locali/associazioni etc, a cui si può partecipare per fare esperienza. Quanto serve avere nel proprio curriculum piazzamenti di questo genere? In altre parole, al di là dell'esperienza che si accumula, serve mettere nel curriculum "ha vinto il Premio Narrare il Maiale di Stecconi Terme"? O conta solo piazzare un racconto su Delos/Carmilla o altre pubblicazioni web più "ufficiali"?

DT: Dipende ovviamente, non farei di tutta l’erba un fascio. I concorsi, specie all’inizio delle proprie esperienze, servono ad altro che non a fare curriculum: far circolare il proprio nome, ma direi soprattutto disciplinare la propria scrittura in vista di “prove” più impegnative come quella di proporre un manoscritto a un editore importante. Mi riferisco al cimentarsi con un tema, ad avere tempi di consegna rigidi, ad accettare senza fare drammi i riscontri di una platea più allargata come può essere quella della giuria di un concorso. Vincere un premio di cui nessuno o quasi conosce l’esistenza non ci porterà una virgola, salvo compiacere il nostro ego (se vogliamo anche questo è importante, perché aiuta a guadagnare sicurezza, ma non è certo prioritario). I concorsi dovrebbero essere presi come ghiotte occasioni di confronto con lettori fuori della cerchia ristretta delle persone che ci conoscono e che possono avere un occhio compiacente nel giudicare ciò che scriviamo. Sono una palestra, un’opportunità forse unica di misurarsi sia con un pubblico allargato di lettori sia con altri autori, che si cimentano con lo stesso nostro tema, e per giunta seguendo le medesime regole. Ecco perché consiglio caldamente di non disinteressarsi dell’esito del premio una volta conosciuto il nostro risultato: sarebbe buona norma andarsi a leggere quanti sono arrivati in finale per capire, dal confronto con loro, che cosa ha funzionato nella nostra storia e cosa no. Nel mio caso specifico, il Premio Urania (peraltro solo sfiorato con “Infect@” nel 2005) mi ha spalancato porte che mi sarebbe stato molto difficile varcare solo bussando: la richiesta di un seguito del romanzo (uscirà nel 2011), l’opzione cinematografica, un secondo libro con Urania due anni dopo la pubblicazione del primo… Anche le riviste “importanti” come appunto Robot, Delos, Carmilla sono vetrine di peso; proprio perché non si avvalgono della scrematura fisiologica di un premio, richiedono però standard di qualità già molto alti come default. E questo è una garanzia che va a tutto beneficio di chi vi viene pubblicato.


GdD: Immagino che piazzarsi in un concorso specifico (Alien/Lovecraft/...) sia la cosa più efficace in assoluto, come rapporto benefici/difficoltà, o no?

DT: I benefici sono tutti in qualche modo legati alla visibilità. Onestamente credo che a chi partecipa a un concorso importi relativamente poco dei premi in denaro, in libri o in prodotti tipici: oltretutto, nel primo caso, le cifre sono quasi sempre piuttosto modeste. Provate invece a chiedere a un autore che cosa ci sia di meglio di un serio contratto editoriale o della pubblicazione in un’opera ben distribuita. Per visibilità non intendo, ovviamente, solo tiratura di copie. Parlo di diffusione più in generale: mediatica innanzitutto. Un buon premio non si limita a far comparire il proprio bando in più location possibili, ma si assicura che si parli a lungo e diffusamente dei risultati; non cura, quindi, solo il “prima” per mietere partecipanti, ma ripaga tutti con un “dopo” altrettanto martellante (e motivante per il futuro). In questo, i concorsi con una tradizione consolidata (e magari tante edizioni alle spalle) offrono senz’altro più garanzie. Se poi hanno un piccolo ufficio stampa che sia in grado di arrivare un po’ più in là della propria homepage, tanto di guadagnato.


GdD: Per chi desidera sottoporre un lavoro ad una casa editrice: bisogna essere già noti nel settore immagino, vedi punto 1. Un nome nuovo viene considerato o finisce per essere cestinato in modo automatico?

DT: Tasto dolente. C’è una domanda di riserva? Scherzi a parte, fatta eccezione per i pezzi da novanta, il nome noto da solo non basta: occorre che sia buona e vendibile l’opera che propone. Altrimenti nisba. Ovviamente per l’esordiente assoluto le cose si complicano: da parte degli editori s’innesca una sorta di tacita “presunzione di porcheria”. O quantomeno di dilettantismo (che è forse peggio). Nessun editor di casa editrice importante ha normalmente voglia di sobbarcarsi il lavoro extra di seguire un absolute beginner seppure talentuoso. Si aspetta che il talento gli cada sulla fronte già bell’e puro. Per gli editori più piccoli, per fortuna, non è (ancora) così: il mestiere del talent scout non è morto del tutto, anzi. C’è la cosiddetta editoria “Indie” (termine mediato dalla musica, che sta per “Indipendent”), che fa di tutto per scoprire e promuovere autori e opere di qualità di cui altrimenti nessuno si accorgerebbe. Il fenomeno degli e-book ha portato in superficie questo universo, che peraltro c’è sempre stato, confinato però oltre la soglia della visibilità…


GdD: Cosa fa superare la prima occhiata e guadagnare la seconda? Il tema adeguato al mercato del momento (e.g. "vampiri")? La lunghezza "standard" quanto aiuta (rispetto ad esempio ad un tomo da 1200 pagine)? Credo che la scrittura ("l'italiano") conti tantissimo, no?

DT: Che cosa fa guadagnare una seconda occhiata? Le prime “cose” che si notano: la prima pagina, direi addirittura le prime righe. Per contro, il primo errore di grammatica o di sintassi, la prima ingenuità nella trama possono precludere l’interesse di andare avanti con la lettura… La prosa conta eccome; e se conta quella, nell’accezione di “stile”, figuriamoci l’italiano corretto. Certi errori, diciamocelo, mal dispongono chi legge. Ecco perché consiglio di spendere un bel po’ di tempo nella rilettura e nell’editing della propria opera: nessuno chiede fretta a un esordiente, per cui ci si prenda pure tutto il tempo che serve per sparare bene la propria cartuccia. Quanto a lunghezza e temi di moda, in una prima fase un autore dovrebbe avere meno condizionamenti possibili. E’ giusto che giochi le sue carte con quelle che ritiene siano le sue credenziali migliori. Solo dopo - ad approccio avvenuto – può fare valutazioni di “opportunità”.

GdD: Dario Tonani manda una cartolina a se stesso nel passato, diciamo Dario versione 1980. Che cosa scriverebbe per aiutarsi nella carriera? Tra tutti quelli che puoi far stare nel limitato spazio di una cartolina, che consiglio scriveresti per cambiare il passato e facilitarti le cose?

DT: Sei parole: “leggere, leggere, leggere. Scrivere, scrivere, scrivere”. La scrittura ha in sé qualcosa di “muscolare”, necessita dedizione, esercizio, perseveranza. E una sana alimentazione, la lettura appunto. E poi sulla cartolina aggiungerei “Mai considerare la scrittura come qualcosa solo per sé. E’ un bisogno d’accordo, ma vive di relazione con l’altro, il lettore. Senza questa relazione, la scrittura non ha ossigeno, non può crescere”. E, se potessi tornare agli anni 80, mi direi: “Scrivi meno racconti e dedicati a storie più lunghe. Per quanta visibilità possa avere un racconto, non ne avrà mai quanto un buon romanzo” Un piccolo rimpianto personale.


GdD: Altri commenti?

DT: Nessuna domanda sull’e-book? Strano di questi tempi. Peccato.

GdD: Beh, questo spazio rimane a disposizione per qualsiasi altro suggerimento ti venisse voglia di farci avere.


Questo conclude l'intervista. Ancora un caloroso saluto a Dario! Rimando al suo sito per restare aggiornati sulle sue future attività.

mercoledì, maggio 12, 2010

Il grande nulla

recensione di Riccardo G.
Il Grande Nulla, di James Ellroy (edizione Mondadori)

Il mio primo libro di Ellroy è stata una grandissima rivelazione. Mi sono avvicinato a questo libro regalatomi da un amico con una certa circospezione. L’inizio del libro poi non è stato d’aiuto e stavo quasi per interrompere la lettura. Delitti di una crudeltà inaudita e personaggi cupi si muovevano all’interno di una Los Angeles anni 50 cinica e spietata. Poi seguendo le storie degli investigatori Mal Considine, Danny Upshaw e Buzzy Meeks qualcosa di incredibile è scattato e le storie, apparentemente slegate e indipendenti, hanno cominciato a intrecciarsi magicamente formando una trama unica e avvincente.
Gli Studios hollywoodiani sono governati da potenti imprenditori, ebrei e non, con personalità che spesso si identificano con quelle dei peggiori malavitosi, e brulicano di lavoratori e attori iscritti ai vari sindacati dell’epoca, fortemente sospettati di connivenza con il comunismo sovietico. I comitati di polizia e della contea vogliono fare luce su questa situazione potenzialmente sovversiva e destabilizzante per gli Stati Uniti.
Tra dive filocomuniste, bande ispaniche, scenari omosessuali conditi da omicidi efferati, malavitosi di prim’ordine e forze dell’ordine corrotte fin nel midollo, i nostri personaggi si districano come possono con tutte le difficoltà del caso.
La caratterizzazione dei personaggi è straordinaria e le atmosfere sono rese in modo eccellente. Una lettura a tinte forti che tiene incollati dalla prima all’ultima pagina.
Consigliato.

domenica, aprile 18, 2010

Il quinto giorno

recensione di Ivan Z.

Oggi parliamo de "Il quinto giorno" (TEA, 1032 pagine, € 13.00) di Frank Schätzing, pubblicitario e discografico tedesco con la passione della scrittura, che con quest'opera ha ottenuto un enorme successo di vendite, sfiorando il milione di copie solo in Germania.
Inquadrare con precisione il genere cui appartiene questo corposo romanzo non è facile, si potrebbe dire che oscilli tra la fantascienza e il tecno-thriller; in ogni caso la componente fantastica è ben presente e solida, quindi ha sicuramente le carte in regola per trovare posto in questo spazio.
La narrazione inizia sulle coste del Perù, dove la scomparsa, all'apparenza insignificante, di un pescatore rappresenta il primo di una serie di eventi, inquietanti e sempre più catastrofici, che in poche settimane sconvolgeranno l'intero pianeta, minacciando la sopravvivenza del genere umano. Mentre il panico assale i popoli della Terra, le speranza di sopravvivenza sono affidate alla comunità scientifica internazionale e agli immancabili militari; e lo scontro la forza del braccio e quella della mente sarà uno dei motivi dominanti del romanzo.
Mentre l'azione si sposta da un estremo all'altro del globo, la narrazione vedrà emergere ed avvicendarsi numerosi personaggi, ognuno dei quali darà il proprio contributo nel tentare di salvare l'umanità dai propri errori.

Il romanzo non è decisamente snello e, come in tutti i tecno-thriller di buona fattura, le nozioni scientifiche sono accurate e profuse a piene mani. Proprio nella puntigliosità talvolta eccessiva risiede, a parere mio, il punto debole del romanzo: in alcuni casi la narrazione potrebbe procedere più spedita, invece succede che ci si impantani tra i dettagli dei protocolli di trasmissione dei satelliti e, in quei casi, le oltre mille pagine si sentono tutte.
Uno dei punti di forza, invece, è costituito dai protagonisti: ben delineati, con personalità approfondite e storie personali ricche e sensate. Alcuni sono persone realmente esistenti (ad esempio, Gerhard Bohrmann, docente di Geologia marina all'università di Brema, "interpreta sé stesso"), altri sono così "veri" che potrebbero esserlo, altri ancora sono probabilmente ispirati a personaggi del mondo reale (nel Presidente degli USA sembra di riconoscere George Bush).

"Il quinto giorno" è un buon romanzo, ben scritto, vigoroso e di ampio respiro, chiaramente frutto di un lavoro massiccio e molto ben documentato. Non lo trovo adatto a chi cerca un facile romanzo d'avventura, ma è sicuramente indicato a chi desidera una lettura che lasci qualcosa su cui riflettere.

mercoledì, marzo 24, 2010

Il Conte di Montecristo

Recensione di Riccardo G.

Un classico consigliatomi entusiasticamente da amici… e non sono stato deluso; Dumas racconta una storia incredibile dove si possono trovare tutti i sentimenti umani più estremi, sia in positivo che in negativo: amore, odio, fedeltà, tradimento, coraggio, vigliaccheria, ambizione, umiltà e chi più ne ha più ne metta. Il protagonista, il carismatico marinaio Edmondo Dantès, vede la sua vita precipitare improvvisamente in un baratro di angoscia e disperazione. La seconda parte della sua vita sarà una metamorfosi incredibile, dove la sua figura diventerà qualcosa di imponente, magico e quasi divino. Un superuomo tra gli uomini alla ricerca di giustizia e di vendetta. E qui mi fermo e non vado nel dettaglio per non rovinare il gusto della lettura a chi volesse avventurarsi tra le pagine del libro.
La storia si svolge tra Francia e Italia, raccontando di quando in quando di alti lidi mediterranei, come Grecia e Spagna, sconfinando poi in storie che toccano terre più esotiche e lontane, come Arabia e India.
Il mare fa da sfondo a tutta la vicenda fin dall’inizio: attorno alla Marsiglia portuale del giovane Dantès gravitano armatori, commercianti e viaggiatori di ogni genere. L’Italia rappresenta un’altra fetta importante per gli scenari del libro: dai porti toscani, all’Isola di Montecristo, alla godereccia Roma dell’epoca. Parigi infine farà da teatro alla cospicua seconda parte della storia.
Tra Napoleone, girondini, militari, Papi, faccendieri, banchieri, ladri, banditi, giudici e membri di nobili casati d’ogni parte d’Europa si possono trovare i più svariati personaggi le cui vite si intrecciano, a volte consapevolmente, a volte no, nei modi più intensi e imprevedibili.
Una lettura altamente consigliata che tiene il lettore incollato al libro dalla prima all’ultima pagina.

mercoledì, marzo 10, 2010

I veri vampiri siamo noi

Contributo di Ivan sul tema dei vampiri! - R.

Ormai è diventata un'ossessione. Chiunque sia entrato in una libreria nell'ultimo anno non può non aver notato quanto questi negozi ormai assomiglino sempre più a delle macellerie, con banchi e scaffali che letteralmente grondano sangue. Vampiri ovunque... ma quanto è lontano il "pallido conte" di Stoker dai vampiri attuali. Sì, perché oggigiorno i succhiasangue sono bellocci, inevitabilmente adolescenti e tutti in piena tempesta ormonale.
Quindi cosa possiamo fare? Come possiamo salvarci da quest'invasione di "principi (azzurri) delle tenebre"?
Semplice, rifiutiamo di accettare questa deprimente e insulsa visione contemporanea del succhiasangue, frughiamo nei recessi delle nostre librerie e riportiamo alla luce quei vecchi libri, polverosi e ormai ingialliti, che ci hanno tenuto compagnia nei bei tempi passati, nei quali gli uomini erano uomini e i vampiri erano vampiri.
Il primo dei due libri che ho riesumato oggi è un Mammut Newton, vecchio di diciassette anni dal titolo prosaico: "Storie di vampiri". In oltre mille pagine, questo tomo raccoglie settanta titoli, tra racconti e romanzi brevi, che, nelle intenzioni dei curatori (gli inevitabili Gianni Pilo e Sebastiano Fusco), rappresentano il meglio di due secoli di scritti dedicati ai Signori della Notte.
Nella prima parte, intitolata "Prima di Dracula", troviamo una raccolta di racconti scritti tra la fine del Settecento e la seconda metà dell'Ottocento. Così, passando tra gli immancabili Polidori e Le Fanu, potremo sorprenderci nel leggere racconti di Gogol, Tolstoj, Maupassant e Dumas e scoprire che praticamente non esiste scrittore del XIX secolo che non si sia confrontato con i vampiri.
La seconda parte, "L'avvento di Dracula", ci offre una serie di racconti scritti tra l'Ottocento e in Novecento e firmati da alcuni dei nomi più noti della letteratura fantastica: Stoker, Hodgson, Del Rey, Conan Doyle, Hoffmann Price, Derleth...
"Gli eredi di Dracula" ci mostra il vampiro dal punto di vista degli scrittori della prima metà del Novecento, tra cui spiccano sicuramente Bloch, Seabury Quinn e Ashton Smith.
L'ultima parte, "Dracula domani", raccoglie alcuni racconti che rappresentano una "contaminatio" tra la fantascienza e l'horror e, su tutti, spicca "La città dei Vampiri", un romanzo breve di Van Vogt.
Il secondo libro che ho riportato alla luce è un Urania del '99: "Vamps". Il tascabile raggruppa tre racconti di Norman Spinrad sulla figura del vampiro nel mondo di oggi e di domani. Degno di nota è soprattutto il divertentissimo "Tossicovampiri": cosa accadrebbe se Dracula in persona arrivasse nella New York di oggi e, per sventura, si cibasse di una eroinomane?
Entrambi i libri sono purtroppo fuori stampa, ma in entrambi i casi vale sicuramente la pena fare una ricerca e cercare di accaparrarseli.

giovedì, febbraio 25, 2010

Casa di Foglie

Parliamo di un libro particolare, che consiglio a chi abbia voglia di perdere un po' di tempo e di impegnarsi con un libro non banale.
Casa di Foglie (Mondadori Strade Blu, 2005) è l'opera d'esordio di Mark Danielewski. La caratteristica principale di questo capolavoro è di essere esempio di un genere abbastanza di nicchia, quello della letteratura ergodica, ovvero si tratta di un libro che non può essere percorso dal principio alla fine seguendo una linea continua ma obbliga invece il lettore a fare del lavoro per (ri-)creare il testo.
Casa di Foglie è essenzialmente un romanzo a tre livelli. Il più esterno è un "romanzo psicologico", opera di Johnny Truant, uno scoppiato di Los Angeles. Parla dei suoi traumi infantili, del collasso giornaliero della sua vita e soprattutto del libro che Johnny trova a casa di un vecchio appena defunto. Nella narrazione di Johnny non è chiaro quanto di quello che descrive sia reale nel senso che normalmente si dà alla parola, quanto sia delirio e in che misura il libro di cui entra in possesso sia la causa della sua rovina.
La storia di Johnny è scritta come annotazione a margine del libro che egli trova, e questo testo è il secondo livello del romanzo. Si tratta di un collage di testi, parte raccolti e parte dettati da tale vecchio. Infatti Zampanò è cieco e ha dovuto dettare parola per parola il materiale. L'opera di Zampanò, genio tuttologo e romantico a tempo perso, è la critica cinematografica di un documentario realizzato dal giornalista Will Navidson, film che nemmeno Johnny riuscirà a stabilire se realmente esistito. Zampanò analizza il documentario e cammin facendo la vita di Navidson e dei suoi familiari, trascrivendo gran parte della vicenda e annotandola con riferimenti dotti, analisi di testi, interviste e quant'altro, mettendo anche su carta le sensazioni e le emozioni di una vita.
Il terzo livello del romanzo è il documentario appunto, The Navidson Record, che narra di come Navidson, da poco trasferitosi in una nuova casa in Virginia, scopra in una stanza una porta impossibile, mai vista prima. Questa porta dà su un piccolo spazio cieco che non dovrebbe esistere, date le misure delle stanze e lo spessore dei muri. Questo spazio progressivamente si aprirà per espandersi fino ad un abisso che Navidson e amici dovrà esplorare, incontrando oltre la porta paura, follia e morte.
Casa di Foglie è dicevamo un libro-collage con una vastissima serie di annotazioni a margine. Per avere un'idea delle condizioni in cui si trova guardate qua (wiki) per una pagina dell'edizione in lingua inglese. In realtà parte del testo non è nemmeno inteso per la lettura, vi sono più pagine che contengono solo liste di nomi e sembrano prese dall'elenco del telefono. Per fortuna le varie voci narranti hanno ognuna il suo font, e seguire una singola persona attraverso più pagine è facile. Una volta distrutta la normale disposizione delle parole in pagina, Danielewski gioca con la tipografia riuscendo a imporre in modo magistrale alcuni stati d'animo al lettore: ansia, claustrofobia, desolazione. Se le parole di Zampanò sono sempre posate e al limite tendono alla malinconia, la vicenda a casa Navidson è in grado di inchiodare il lettore al libro, mentre la mente malata di Johnny è capace a portare rapidamente sull'orlo della paranoia e costringere a interrompere la lettura e a guardarsi attorno.
In modo geniale il libro, dopo alcune lettere della madre di Johnny con il loro carico di follia, chiude con una serie di fotografie del libro originale di Zampanò, di disegni dei figli di Navidson, fotogrammi del documentario etc.
Noterete che il libro è un'edizione Mondadori, e vi soprenderà scoprire che è un edizione particolarmente buona e molto curata. In particolare la traduzione, che ha impiegato due professionisti per più di un anno, è eccezionalmente buona soprattutto contando la difficoltà del testo, dei giochi di parole e dei messaggi cifrati nascosti nelle pagine.
Questo libro lo consiglio vivamente. Certo non è una passeggiata ma in cambio di un minimo di impegno potrete avere un esperienza inusuale e molto soddisfacente.

lunedì, febbraio 22, 2010

Fine degli acquisti di libri all'estero?

Ovvero "come fanno le Poste a pagare gli interessi ai correntisti?"

Premessa: da almeno 10 anni compro occasionalmente libri dall'estero, 2 volte l'anno circa, principalmente da Amazon. Mai avuti problemi di sorta. Le uniche noie sono capitate una volta in cui a mia insaputa uno dei libri che ho acquistato aveva in omaggio un CDROM contenente testi aggiuntivi, su cui sono stato stroncato.

Veniamo al fattaccio. Oggi mi arriva fresco fresco l'ultimo acquisto da Amazon, con una bella sorpresa: più di 14 Euro di "spese di spedizione". Da dove viene questo salasso-rapina-taglieggio, visto che in 10-anni-10 non ho mai pagato una lira per pacchi di soli libri? Informiamoci allora!

Prima gli indizi, Holmes.
Pacco A: leggo dal fogliettino (pezzo di cartaccia stampato in b/n marcato "Poste Italiane" e "Linate"):
  • Presentazione in Dogana: 2.5 Euro
  • Spese postali: 3 euro
  • Dazio (su 34.4 euro) : 0
  • IVA 4% (su 34.4 euro) : 1.38 Euro
  • Totale: 6.88 Euro
Pacco B: simile, totale 7.6 Euro per 2.1 Euro di IVA.

Riepiloghiamo gli indizi:
  • la maggior parte dei soldi vengono presi dalle Poste
  • qualche soldino se ne va in tasse
  • nessun soldo va alla Dogana!
Abbiamo degl indizi preziosi, possiamo passare all'indagine.

Informazione 1: cercando un poco in rete mi si informa che le Poste hanno realizzato un vantaggioso (per loro) accordo con la Dogana, per cui adesso si occupano loro dello sdoganamento delle spedizioni postali. Il lucro delle Poste è facilmente calcolabile: per un misero versamento allo Stato di neanche un Euro e mezzo pago alle Poste 7.5 Euro fissi.

Informazione 2: attenzione ai dettagli, il dazio doganale è zero. In effetti dal sito delle poste leggo:
Il Regolamento CE n.274 del 2008 innalza la franchigia ai fini dei Dazi doganali da euro 22,00 ad euro 150,00. Analogo aumento non è stato previsto per la franchigia ai fini dell'IVA che, ai sensi del succitato Decreto Ministeriale n.489/97, e coerentemente alle previsioni dell'art. 1, punto 2 della direttiva 88/133/CEE, resta fissata in euro 22,00.
Mi pare quindi di capire che
  • forse la Dogana faceva pochi controlli a campione o non si scomodava per l'IVA per pacchi su cui il dazio era zero, risparmiando al ricevente di pacchetti da quattro soldi di spendere 10 volte in spese quello che deve pagare di IVA (cosa che ripeto mi era invece capitata con i pacchi contenenti CDROM). Oppure sono stato molto fortunato fino ad adesso.
  • le Poste sono, o sono diventate ultimamente, molto più diligenti ovvero con altre parole "mangiano il mangiabile senza vergogna alcuna".
Informazione 3: i 5.5 Euro sono per spese di "presentazione" e "postali" per lo sdoganamento, ma le Poste non forniscono bolla di sdoganamento, ma solo tale pezzo di cartaccia privo di alcun valore che trovo un pelino, come dire, costoso.

Informazione 4: la cara Amazon mi ha spedito 2 pacchi per un solo ordine, a spese sue, perché parte della merce non sarebbe stata spedita in 24 ore e voleva velocizzare. Il resto infatti è stato spedito entro 72 ore! Gasp, che ritardo! Grazie Amazon, ho apperzzato il pensiero, ma risparmiati le gentilezze per chi le merita.

Aggiornamento: che mi sono preso? Ma sì, la nota dolce ci vuole. Di narrativa ho preso
  • Welcome to the monkey house, di Vonnegut
  • Tales of Old Earth e
  • The dog said bow-wow, di Michael Swanwick.
Tutti racconti!

giovedì, febbraio 04, 2010

Vampiri e scempio della letteratura fantasy per mano delle ragazzine

Per avere un'idea di come gira l'editoria USA è istruttivo ogni tanto fare un giro su Amazon.com. Andiamo nella sezione libri/libri a stampa e cerchiamo "vampire".
Solo nelle prime 2 pagine (totale: 24 titoli) troviamo:
  • "Vampire Academy"
  • "Kiss Me Forever/Love Me Forever"
  • "Shadow Kiss"
  • "Vampire Kisses: The Beginning"
  • "The Mammoth Book of Vampire Romance"
  • "The Vampire's Kiss"
e ovviamente
  • "Twilight (The Twilight Saga, Book 1)"
più almeno altri 7 volumi con copertine con ragazze adolescenti a labbra socchiuse, bellocci con segni di rossetto sul collo o simili. E siamo a 14, tutto questo senza andare a leggere le trame dei libri con titoli generici e copertine anonime.
Nessuno può più salvare il genere (beh, forse giusto lui!)

Aggiornamento 13 Febbraio 2009: le metastasi avanzano. Da il Fatto Quotidiano di oggi, rubrica "il peggio della diretta" di Nanni Delbecchi:
[...] Da quando "Twilight" ha fatto esplodere la moda del "new gothic" le relazioni tra umani e vampiri sono diventate il non plus ultra del feromone, e avere un fidanzato appena uscito dalla tomba è diventato il massimo dello status symbol, anche nel mondo fatato dei teen drama televisivi.
Ecco che ogni mercoledì, sul canale Mya di Mediaset, è arrivato "Vampire diaries", [...]
Avevo scritto in questo esatto spazio una riga di commento sullo spaccio Mediaset ma la ho cancellata per evitare denunce.

sabato, gennaio 23, 2010

Lo scrittore secondo Ballard

Nella prefazione a Crash (diventata una postfazione nell'edizione Feltrinelli, miracoli dell'editoria italiana) J.G. Ballard, senza dubbio uno dei principali scrittori inglesi contemporanei, affronta il tema del ruolo degli scrittori fantastici. [Nota: Crash è un'antiutopia pornografica e amorale, se lo leggete non venite poi a lamentarvi da me. Se non conoscete l'autore non è il libro migliore per iniziare, fatevi invece un favore e prendete il primo volume di Tutti i Racconti (Fanucci)].
Tornando al breve saggio, JGB prende in esame la fantascienza, termine un po' restrittivo usato in modo molto libero per descrivere in realtà una buona fetta della letteratura fantastica. Per JGB la fantascienza costituisce la tradizione letteraria principale del 19mo secolo, e senza dubbio la sua più antica. Il 20mo secolo segna poi l'avvento della "possibilità illimitata", e la fantascienza è il genere più adatto a trattare questo contesto, per vocabolario e per bagaglio di idee. JGB argomenta che se si facesse tabula rasa di tutta la letteratura mondiale, tutti gli scrittori moderni inizierebbero di punto in bianco a scrivere fantascienza. La riduzione di quest'ultima a letteratura di genere, vagamente disdicevole, è da attribuirsi alla perdita della dimensione "poetica" (io direi "epica").
D'altro canto il giudizio sul romanzo tradizionale moderno è caustico: per JGB il romanzo tradizionale ha ormai per soli argomenti l'introspezione e l'alienazione, perso nell'ossessione per la dimensione soggettiva dell'esperienza e incapace di elevarsi oltre l'illusione di una assoluta staticità della società umana. D'altra parte la fantascienza è essa stessa una vittima dell'era moderna, che pure ha anticipato e contribuito a creare. Per JGB 2001 Odissea nello Spazio provoca ormai le stesse sensazioni di Via col Vento, diventando una sorta di romanzo storico alla rovescia.
Il tratto principale dell'era moderna è lo scambio di ruoli tra realtà e fantasia, essendo il mondo reale ormai soltanto un'invenzione pubblicitaria a tutti i livelli (politica, tecnologia,...) dove possono convivere fianco a fianco la denuncia del pericolo nucleare e lo spot per una nuova bibita gasata. La prima causa di questa realtà immaginaria è, non a sorpresa, la televisione. Ma se il mondo è ormai invenzione onirica, tanto è vero che vi si può applicare l'analisi freudiana del contenuto del sogno, alla fantascienza resta il compito di inventare la realtà. Lo scrittore deve insomma offrire ai lettori il contenuto del suo cervello, descrivendolo come farebbe uno scienziato o un esploratore impegnato in un safari. Vengono in mente a questo punto parecchie opere brevi di JGB che narrano l'esplorazione dello "spazio interno", dove il mondo esterno e la psiche si fondono.
Ultima nota: questa prefazione è datata 1974.
Per approfondire: lo speciale di Fantascienza.com su La Mostra delle Atrocità